La parola della settimana: Quantum imaging

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Immaginiamo di fotografare un’aquila che vola alta nel cielo. Con il teleobiettivo devo prima “trovare” l’aquila e poi inseguire il suo volo per scattare una buona foto. Posso fotografare solo ciò che la macchina inquadra direttamente. 
La seconda rivoluzione quantistica apre nuove prospettive per la realizzazione di immagini (imaging), permettendo, per esempio, di scattare fotografie puntando, invece che al soggetto, alla sorgente luminosa che lo illumina. La fotocamera punta sul sole, che è fermo e ben visibile. Un secondo rivelatore con un singolo pixel, come la fotocellula di un cancello elettrico, raccoglie quando capita la luce diffusa dall’aquila in volo e manda un segnale alla fotocamera che punta sul sole, che allora scatta un’istantanea. Dall’insieme di tante istantanee si ricostruisce l’immagine dell’aquila. Questo progresso nasce dalla capacità di sfruttare le “correlazioni”, quantistiche o classiche, della luce. Fasci di luce correlati in posizione e direzione consentono ad esempio di generare “immagini fantasma”, ricostruite grazie a una fotocamera che non riceve luce proveniente direttamente dal soggetto. I fasci di luce correlati non devono essere dello stesso colore: fotoni correlati in frequenza consentono di realizzare immagini con una fotocamera “cieca” alla luce proveniente dal soggetto.

Un’aquila sullo sfondo del sole vista attraverso il diaframma di una macchina fotografica

Un’aquila sullo sfondo del sole vista attraverso il diaframma di una macchina fotografica

Le correlazioni offrono anche ulteriori possibilità: nell’“imaging plenottico in correlazione”, ad esempio, si sostituisce il rivelatore a singolo pixel con una seconda fotocamera ad alta risoluzione per ottenere informazioni più ricche che consentono di cambiare a posteriori il piano di messa a fuoco e di ricostruire scene tridimensionali. Ancora, nel cosiddetto “imaging con fotoni non rivelati”, oltre alle correlazioni quantistiche si sfrutta l’interferenza associata all’indistinguibilità dei percorsi seguiti dai fotoni correlati, eliminando il secondo rivelatore. 
L’imaging in correlazione consente quindi di osservare oggetti difficilmente accessibili o di illuminarli con lunghezze d’onda per le quali non si dispone di buoni rivelatori o, ancora, facilmente danneggiabili se sovraesposti alla luce. Le applicazioni spaziano da fotocamere e microscopi a dispositivi per droni, satelliti, automobili e strumenti medici o industriali. 
Lo sviluppo di sensori ultra-sensibili e veloci sta consentendo di realizzare alcune di queste tecnologie anche con luce “comune” (luce del Sole, illuminazione ambiente, oggetti fluorescenti, ecc.), sfruttando la cosiddetta “interferometria di intensità" scoperta da Hanbury-Brown e Twiss negli anni ’50. Questi sviluppi giocano un ruolo prezioso nell’aprire gli scenari applicativi dell’imaging quantistico anche a contesti in cui l’uso di correlazioni quantistiche non sia praticabile.

Autore: Milena D'Angelo

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